Sono il frutto del lavoro di sapienti mani di contadini, muratori, artigiani. Alcuni sono rimasti intatti, altri stanno subendo l’incuria del tempo e dell’uomo. Ci accompagnano silenziosi lungo sentieri collinari a testimoniare un’altra epoca. Mi riferisco ai muretti a secco, opere di ingegno e di arte, che hanno modellato il nostro territorio e tuttora lo caratterizzano. Piccole architetture semplici che trovi così spesso sulle colline gardesane dell’Alto Garda e sulle pendici del Monte Baldo spesso modellando le colle, le balze di terreno, creando dei terrazzamenti dove venivano coltivati gli ulivi.
Nel 2018 i muretti a secco hanno attirato l’attenzione dell’Unesco diventando un Patrimonio dell’Umanità in Valtellina dove ne sono stati contati per migliaia di chilometri. In realtà si trovano anche in tante aree della Lombardia, della Liguria, della Toscana e della Campania. Sono opere piccole, che non fanno notizia, ma che per centinaia d’anni hanno contribuito a prevenire fenomeni franosi, alluvioni, erosioni e desertificazioni. Sono la testimonianza di un’Italia rurale poco conosciuta, quasi invisibile, ma profondamente in connessione ed in armonia con l’ambiente. Questi muretti hanno la particolarità di essere costruiti senza usare nessun altro materiale, se non la terra stessa. È un lavoro di fatica e di precisione. Bisogna cercare e trasportare le pietre ed incastrarle con maestria l’una sull’altra.
Sono rimasti in pochi a tramandarsi quest’arte, spesso le montagne e le colline sono state abbandonate da decenni per ricercare chissà cos’altro. Talvolta con questa tecnica si costruivano ripari e rifugi che ci conquistano con la loro semplice bellezza, dove ogni piccola scelta è anche funzionale alle esigenze lavorative.
Dello stesso tenore sono i viottoli di montagna acciottolati, frutto di un paziente lavoro, senza cemento o asfalto, solo terra e pietre. Taluni ancora mantengono le tracce del passaggio delle ruote dei carri che per secoli li hanno solcati. Pietre arrotondate, forse ciottoli di fiume, accostate le une alle altre con creatività e buon gusto, ogni pietra scelta con cura. Queste strade avevano il vantaggio di tutelare dal dilavamento il terreno e durante le piogge l’acqua veniva assorbita senza diventare una cascata verso il basso: purtroppo sono state e sono a poco a poco sostituite dal cemento o dall’asfalto.
C’è un altro aspetto del nostro paesaggio che mi ha sempre incuriosito. Si tratta di pietre squadrate forate nel mezzo inserite nei muretti all’altezza di circa un metro e mezzo, due. Se ne ritrovano spesso nell’Alto Garda e spesso a molti sfugge il senso del loro uso. Ora sono solo a ricordo di una pratica molto diffusa. Infatti venivano usati per infilare dei pali di legno che aiutavano a sostenere la vite. In dialetto locale sono chiamate pree da büs, letteralmente pietre con il buco. Piccoli segni a dimostrazione della cura della propria terra, dove ogni singolo angolo veniva sfruttato per le coltivazioni.
Così come non ricordare le fontane e gli abbeveratoi che si trovano nei piccoli borghi, ricordo della pastorizia o del lavoro della lavandaie quando ancora non esisteva l’acqua a corrente.
Ed infine, ma questo merita un discorso più approfondito, ci sono le limonaie, un unicum e una particolare forma architettonica che tuttora caratterizza il paesaggio dell’Alto Garda.
L’augurio è che questo patrimonio possa continuare ad essere visto e venga valutato e conservato.
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