Ogni occasione di scoprire una parte di territorio che non conosco è una gioia e un guardare con occhi stupiti a quella parte di Italia considerata minore, ma sicuramente non per questo meno ricca di fascino, di interesse e di storia.
Quest’estate sono stati gli incontri della rassegna Oro in bocca promossi dalla Fondazione Provincia di Brescia Eventi in collaborazione con vari enti locali come la Comunità Vallesabbia con giornalisti, poeti e camminatori, che mi hanno permesso di aprire una finestra su alcuni paesini della Valle che non avevo mai visitato.
Uno di questi incontri mi ha portato nella zona tra Pertica Alta e Livemmo, a cui ci si arriva dopo avere guidato lungo la SS237 della Vallesabbia e, subito dopo Vestone, avere imboccato la SP55. Da qui inizia una salita lungo strette strade sinuose tra boschi e ruscelli verso distese di grandi prati e alture coperte di altri boschi, interrotti da piccoli paesi che hanno mantenuto una loro integrità locale in un’atmosfera di calma e di pace.
Una volta lasciata la statale ciò che colpisce è la predominanza della natura, che avvolge, placa e rasserena. Per raggiungere il punto di incontro una breve passeggiata attraverso il bosco.
E se è vero che il termine sapere nel latino classico significava avere sapore, essere saggio (definizione della Treccani), allora è certo che la conoscenza passa anche attraverso il gustare il paesaggio nutrendosi l’anima e la mente così pure come attraverso il gusto e l’assaporare i prodotti della sua terra.
Molti di noi già hanno vissuto quest’esperienza senza scomodare il sapere scientifico dei giapponesi che definiscono l’andare per i boschi come un’arte detta Shinrin-Yoku*, letteralmente il bagno nel bosco,che agisce sulle nostre difese immunitarie rendendole più forti, addirittura abbassa il colesterolo e regolarizza la pressione rendendoci più felici e anche più ottimisti. Un’esperienza di integrazione con il bosco vissuto con tutti i nostri sensi e che ha a che vedere con un senso di alleggerimento e di apertura di tutti i nostri centri energetici. Interessante sapere che questa sensazione di benessere sia anche comprovata ora a livello della scienza.
In questo scorrazzare l’incontro con la parte della storia rappresentata da autentici gioielli d’arte di piccole chiese che sono la memoria storica dei luoghi. Così come lo solo le santelle, costruite per offrire sempre un riparo al pellegrino, segno tangibile della presenza dello spirito divino in un mondo arcaico e arcano.
Merita sicuramente una visita la Chiesa dei morti di Barbaine, che già dal nome è assolutamente evocativa. Simbolicamente vicino al Sagrato è stato eretto un monumento di commemorazione alla resistenza dei partigiani valsabbini della Brigata Perlasca caduti durante la Seconda Guerra Mondiale. Piccole lapidi in marmo bianco che riportano i nomi e richiamano storie di coraggio e di lotta di giovani uomini che han sempre creduto nel valore della libertà.
Così accanto alla memoria recente sfilano più antiche memorie. Proprio in questo luogo e in questa chiesa, citata già nel 1384, si rivela la storia di una comunità flagellata da molteplici morti di tutt’altro tipo causate dalle pestilenze che duramente colpirono nel 1576, nel 1577 e nel 1630. F Proprio qui fu necessario scavare fosse comuni e la gente iniziò ad arrivarvi per rendere omaggio ai propri morti, ma anche per implorare loro grazie ed aiuti.
A fare da contrappunto a tanta devastazione e a rasserenare l’animo, la vita che continua e si perpetua nel rito di giovani spose che venivano a baciare il chiavistello del portale della chiesa per invocare fecondità e le più giovani per trovare il fidanzato entro l’anno. Un rito che traeva sicuramente origine da un mondo pagano e che rimase a lungo una tradizione.
La chiesa, in stile romanico lombardo, dopo essere stata a lungo abbandonata, è stata recuperata e ottimamente restaurata.
Sono rimasta particolarmente colpita da uno dei numerosi affreschi cinquecenteschi che mi ha portato alla scoperta di una storia terribile di persecuzione di ebrei torturati e trafitti nei modi più orribili rappresentato da un giovane con le braccia spalancate come Gesù in croce. Il fatto avvenne a Trento nel 1475 durante le persecuzioni che le comunità ebraiche dovettero subire. Si narra che un bambino di nome Simonino di due anni e mezzo scomparve il giovedì prima di Pasqua e fu ritrovato morto proprio vicino ad una casa abitata da quindici ebrei. In un clima di odio furono accusati di avere perpetrato un omicidio rituale, perciò vennero imprigionati, torturati e massacrati nonostante perfino un legato di papa Sisto IV si fosse reso contro della infondatezza delle accuse.
Nella Chiesa del Principe Vescovo e zone circostanti si diffuse un vero culto verso quel bambino onorato in qualità di martire, nonostante il papa lo negasse. Tale culto perdurò fino al 1965 quando una revisione critica dell’intera vicenda e lo studio delle carte del processo chiarì definitivamente la verità e ribadì la cancellazione del martire. Ciò permise anche un riavvicinamento alla fede ebraica che da quel lontano 1475 aveva gettato il cherem (paragonabile al nostro interdetto) sulla città di Trento, dove gli Ebrei non poterono più vivere per la proibizione del Vescovo Principe fino all’età moderna.
Tante storie che ci accompagnano ma uscendo dalla Chiesa una distesa di prati verdi fioriti con un corollario di monti ci riporta in un’atmosfera di magia e di pace.
* Shinrin-Yoku- immergersi nei boschi – di Quing Li