Camminando tra colline, montagne e antichi borghi sono spesso particolarmente colpita dai toponimi. Alcuni hanno origini molto antiche e rincorrendoli si può ripercorrere la storia del luogo.
Molti derivano da caratteristiche naturali, morfologiche, geografiche, altre volte ci narrano dei mestieri praticati dai suoi abitanti e altre provengono dal mondo immaginifico delle fiabe, da leggende tramandate oppure da pratiche magiche, riti propiziatori o religiosi. Talvolta sono termini dialettali e altri hanno subito strane trasformazioni nel tempo.
Ultimamente sono rimasta molto impressionata da alcuni curiosi toponimi legate al mondo delle streghe, dette strieo stigenei dialetti del nord Italia. Sono spesso legati a credenze religiose, ad antichi riti pagani cristianizzati uniti in una sorte di sincretismo, praticati da donne, che la chiesa cattolica attraverso l’opera dell’inquisizione scova, punisce, tortura e brucia.
Così si ritrovano luoghi come il Doss de le Strie, il Sass de le Strie, il sentiero delle streghe, la pietra delle streghe, la grotta delle streghe o il Büs de la Giana, che fanno da contrappunto alla pietra del diavolo o alla grotta del diavolo. Sono associate a riti magici, a donne che escono la sera dopo l’Ave Maria o semplicemente a donne che da millenni furono depositarie del sapiente uso delle erbe per guarire mali di ogni genere o a donne considerate licenziose. Oppure come scrive Carl Gustav Jung “La strega incarna i desideri, i timori e le altre tendenze della nostra psiche che sono incompatibili con il nostro io.”
Nel libro di Maurizio Bernardelli Curuz Streghe bresciane*, si racconta proprio di confessioni, persecuzioni e roghi avvenuti fra il XV e il XVI secolo. È proprio in quei secoli che si concentra la caccia alle streghe, perpetrata particolarmente nelle valli montane e la provincia di Brescia fu uno dei centri principali, soprattutto in Valcamonica.
Grazie all’autore scopriamo così la storia di Benvegnuda Pincinella, una donna originaria di Nave che fu bruciata a Brescia sul rogo in piazza Loggia nel lontano 1518. Aveva subito un processo dall’inquisizione, da parte di un prete dell’ordine dei Dominicani, a seguito della delazione di una spia, un suo dirimpettaio. Pincinella sembra essere una donna pratica, in grado di guarire con erbe e cataplasmi e riuscire a risolvere molti malanni anche a persone importanti come alla figlia del Podestà di Brescia. Lo fa unendo il pronunciamento di frasi magiche appellandosi ai martiri e ai santi della cristianità della Santa Romana Chiesa. Molti la cercano anche per praticare incantamenti, legare e slegare matrimoni.
Ciò che se ne deduce oggi è fosse una donna indipendente, che se la sapeva cavare, una che tradiva il marito e passeggiava di notte con le amiche. Venne denunciata come strega, capace di scatenare tempeste e soprattutto di partecipare a riti sabbatici sul Tonale con finalità malefiche. In realtà nei processi non si usa la parola sabba, ma piuttosto gioco o ballo. Pincinella è recidiva: già in precedenza nel 1509 era incappata nella giustizia, che l’aveva ammonita a non praticare più le sue arti magiche. Pare però che abbia continuato a curare le persone e fra queste anche il figlio di un conte locale che era stato ferito ad una gamba.
Questa storia purtroppo dimostra cosa accadde, in particolare nelle valli montane bresciane, dove pratiche millenarie si intrecciano con la religiosità cristiana, con le feste dei boschi che mantengono un sapore di rito pagano.
Il famoso Cardinale Carlo Borromeo, poco dopo il Concilio di Trento, nel 1580, nel pieno momento della Controriforma, nel suo giro delle parrocchie bresciane, andò a visitare anche la Valcamonica e ci lasciò una testimonianza importante per quel periodo. Nella sua visita fece rimuovere immagini che appartenevano alla paganità e scoprì ancora riti in uso di venerazione delle pietre. S. Carlo Borromeo fu uno degli artefici del rinnovamento della Chiesa cattolica, che in quel momento storico aveva dovuto affrontare le nuove teorie dei Calvinisti e dei Luterani. Il cardinale aveva partecipato attivamente al Concilio di Trento, che era durato dal 1545 al 1563 con qualche anno di interruzione. Da quel concilio nacquero le nuove linee del cristianesimo cattolico e la lotta contro l’eresia sostenuta dall’opera dell’Inquisizione.
Sembra però che dopo il Concilio di Trento, verso la fine del 16 secolo, ci fossero meno casi stregoneschi e che le condanne al rogo diminuirono notevolmente di numero e anche il potere fortemente repressivo dell’inquisizione abbia perso vigore. Ci fu in ogni caso, in un certo qual modo, una sorta di bonifica di quei luoghi ritenuti impuri perché legati a riti di fertilità e sessualità. Per questo furono piantate e incise croci sui massi, per impedire venerazioni che erano ritenute diaboliche ed impedire la saxorum veneratio, la venerazione delle pietre.
In ogni caso nelle nostre tradizioni continua l’antichissimo rito di bruciare la vecchia (la vecia) a mezza quaresima, rappresentata come un fantoccio di una strega brutta e vecchia. Il falò in realtà simboleggia un antico rito pagano di liberarsi dal freddo e dall’inverno che si inizia a lasciare alle spalle, da tutto ciò che è vecchio e dal male diventando un rito propiziatorio e purificatore.
Toponimi e rituali che si sono mantenuti nei secoli giungendo fino a noi, memoria collettiva per non perdere le nostre radici legate alla natura, forza incontrastata che deve essere protetta e rispettata.
* Streghe bresciane di Maurizio Bernardelli Curuz -1988 – Editrice Ermione