Lo chiamavano il Vescovo Moro. Veniva dal nord Africa, dalla Mauretania, quella regione che si estendeva dall’Algeria fino al Marocco e studiò a Cartagine. Come sia arrivato fino al nord Italia non si sa, ma per certo visse nel IV secolo, fu contemporaneo di Sant’Ambrogio e fu l’ottavo Vescovo di Verona dal 362 al 380. È il patrono di Verona e di molti altri comuni italiani e una delle più belle basiliche veronesi porta il suo nome. La sua festa è il 12 aprile ma a Verona è festeggiato il 21 maggio, giorno della traslazione del suo corpo conservato nella cripta della Basilica.
Certamente la sua fama corse lontano: sul lago di Garda ne è testimonianza dalla dedicazione di numerose chiese sulla sponda veronese, ma non solo. A Bardolino la particolare Chiesa di San Zeno, a croce latina risalente tra l’VIII e il IX secolo, la chiesa di S. Zeno de l’Oselet, posta nell’area cimiteriale a Castelletto di Brenzone adiacente agli scavi romani. A Brescia in Vicolo San Zenone, in una delle parti più antiche della città sorge la Chiesa San Zenone all’Arco. Ognuna di queste meriterebbe un’adeguata descrizione, ma questa è un’altra storia. E ancora la testimonianza di San Zeno di montagna, posta a guardia del lago sulle pendici del Monte Baldo.
Tutto ciò per dimostrare la sua grande fama di uomo saggio.
Una sorprendente statua in marmo, posta in un’alcova alla sinistra dell’absidiola della Basilica di San Zeno a Verona lo ritrae seduto, con il suo volto moro, nelle vesti vescovali, benedicente e sorridente, fatto assai insolito nelle rappresentazione dei santi. Nella mano sinistra impugna il pastorale e ad un filo pende il pesciolino. Il pesce rappresenta infatti uno dei suoi principali attributi, simbolo di vita semplice, poiché, secondo la leggenda, pare che giornalmente si procurasse il cibo pescando. Il pesce rimanda ovviamente anche al Vangelo, in cui gli apostoli sono definiti pescatori di anime e, come noto, è il simbolo di Cristo. La grande devozione che i veronesi da sempre gli rivolgono è dovuta ai miracoli che leggende e tradizione gli attribuiscono nella sua lotta contro il demonio e altri, quali il miracolo per arginare le piene dell’Adige avvenuti dopo la sua morte.
Quest’ultima è forse la più incredibile delle leggende narrata da papa Gregorio I. Siamo nel 6° secolo, periodo del re longobardo Autari quando uno straripamento improvviso del fiume Adige sommerse tutta la città fino ai tetti. L’acqua arrivò fino alla cattedrale dove il re aveva sposato la principessa Teodolinda, ma qui si arrestò restando in sospensione. Grazie a questo evento i veronesi si salvarono potendo abbeverarsi e resistendo finché la piena non calò.
Fu un uomo colto e un grande evangelizzatore, in un momento in cui ancora sopravviveva il paganesimo e scrisse numerosi sermoni contro il paganesimo contenuti nei 93 Discorsi che ci sono pervenuti.
All’interno della Basilica, nella cripta disseminata di ben 49 colonne scolpite con capitelli diversi, quasi una foresta marmo, sono gelosamente conservate le sue spoglie.
La Basilica di una sorprendente ricchezza artistica, a mio avviso uno della più interessanti ed affascinanti di Verona, narra la storia della vita del santo attraverso affreschi e decorazioni ma soprattutto è sapientemente scolpita negli splendidi portali in bronzo della Basilica, una meraviglia che lascia stupiti ed incuriositi. Quella che è stata definita come la Bibbia dei poveri, in un’epoca di analfabetismo, in 48 grandi formelle racconta visivamente episodi del nuovo e del vecchio testamento, unitamente ad alcuni episodi che rimandano alla vita di Zeno. Non si conosce l’autore o gli autori, ma in ogni caso esse sono straordinariamente vivide, ci trasmettono la loro potenza e hanno una chiara immediatezza di narrazione.
Ci descrivono la sua elezione a Vescovo di Verona, il suo pescare nell’Adige per cibarsi e narrano l’episodioin cui mentre pescava vide un contadino trascinato nella corrente del fiume, insieme al suo carro, dai buoi stranamente imbizzarriti. Grazie al segno della croce riuscì a fare calmare i buoi che riportarono il carro sulla riva scacciando l’effetto del demonio.
In un’altra formella del portale, si vede il demonio scacciato dai buoi nel fiume, che indispettito si trasferisce nel corpo della figlia di Gallieno, magistrato di Rezia. Gallieno lo mandò a chiamare e San Zeno liberò sua figlia dal demonio. Per riconoscenza Gallieno gli regalò un prezioso diadema, che s. Zeno divise tra i poveri.
Molti sono gli episodi a lui attribuiti dalla leggenda, soprattutto questa sua continua lotta con il demonio, anche quando era ancora un chierico in compagnia di s. Ambrogio.
Lunga e complessa la storia della basilica edificata su altre cinque precedenti costruzioni, di cui la prima pare risalga proprio all’epoca della morte del Santo e fosse una necropoli romana, al tempo posizionata all’esterno delle mura della città. Grazie al vescovo Ratoldo e al re d’Italia Pipino all’inizio del IX secolo fu ampliata e abbellita in onore di Zeno. Dopo le devastazioni causate dagli Ungari il vescovo Raterio la rinnovò in stile romanico tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo. Nel 1117 un terremoto devastante si abbatté su Verona e i lavori furono interrotti. Nel 1138 pare che avesse già la forma attuale, ma nei secoli successivi subì numerose trasformazioni.
Splendida la facciata, incorniciata da un portico retto da due leoni e un grande rosone chiamato la ruota della fortuna. Ai lati del protiro altorilievi marmorei attribuiti al maestro Guglielmo e alla sua scuola e al maestro Niccolò. I soggetti sono tratti dal nuovo e antico Testamento con soggetti anche profani con Teodorico il Grande. A fianco della basilica policroma sul lato destro svetta il campanile, mentre sul lato sinistro la rossa torre dell’antico monastero citato da Dante nel canto 18 del Purgatorio. È proprio da questa parte, che si apre l’accesso al tranquillo e splendido chiostro del monastero circondato da esili ed eleganti pilastrini.
L’interno della Basilica è ricchissimo di opere d’arte. Colpisce immediatamente il soffitto ligneo a forma di carena di nave. Sull’altare maggiore troneggia la pala di San Zeno del Mantegna, che fu non solo sottratta dai francesi durante le campagne napoleoniche, ma anche tagliata per essere trasportata. Nonostante la pala sia stata riconsegnata, le predelle sono rimaste in Francia e l’opera rimarrà sempre mutila.
Nella navata sinistra una grande coppa di porfido rosso, sicuramente derivante dalle terme romane, porta ancora dei segni di mutilazione. Anche su di essa aleggia una leggenda seconda la quale S. Zeno avrebbe fatto una scommessa con il diavolo: giocarono a palla con la punta di una montagna e Zeno, dopo avere vinto, fece trasportare dal demonio sconfitto il fonte battesimale da Roma a Verona che ancora pare riportare i segni impressi delle sue unghie.
Considerato le sue origini e il suo arrivo da terre straniere mediterranee c’è da domandarsi se oggi il suo viaggio, la sua traversata sul mare come sarebbe avvenuta. Sarebbe stata fatta su un barcone del mare pieno fino all’inverosimile? Mi piace leggere la sua figura come un simbolo del riscatto di tante genti diverse, di uomini, donne, ragazzi e bambini che fuggono da mondi violenti, da carestie e da soprusi alla ricerca di una vita migliore per diventare un esempio di salvezza.