Camminando sulle colline gardesane nell’area di Toscolano-Maderno e, più precisamente, percorrendo il sentiero Cai n. 223, che da Magnico conduce in Vesegna, c’è un grande masso in pietra che i locali conoscono bene, se non altro per sentito dire, detto la prea del gal.
Un soprannome curioso. Mi sono sempre chiesta il significato e da dove traesse le sue origini. Secondo un detto dialettale locale, come scrive il Prof. Foglio nel suo Vocabolario del dialetto di Toscolano-Maderno* “gli sciocchi vengono imitati ad avvicinare l’orecchio per sentire cantare il gallo, ricevendo invece un bell’assestato scappellotto tale da fargli sbattere la testa contro il muro”. Una presa in giro degli ingenui dunque.
Ho poi scoperto che non esiste una sola prea del gal in provincia di Brescia, ma esiste anche una località omonima a Gaino (ora via Donatello) e che, in passato, ne esisteva una anche poco lontano dal centro bresciano. Il dialetto ne ha conservato memoria in un detto che tradotto letteralmente è non hai mai passato la pietra del Gallo, per dire non ti sei mai allontanato dalla città, in senso lato non hai mai viaggiato. Il detto rimanda all’esistenza di una pietra in zona Buffalora a Brescia conservatasi con tale nome fino al 1718, anno in cui fu sbriciolata per potere allargare la strada.
Dietro questa curiosa denominazione in realtà, secondo la tradizione, si cela un episodio assai cruento.
Per poterlo narrare dobbiamo ritornare indietro nei secoli, nel periodo delle lotte tra Guelfi e Ghibellini, due fazioni politiche che si scontrarono duramente nel XIII secolo scatenando delle vere guerre civili. A quel tempo Brescia era guelfa, schierata dunque con il Papa e sostenitrice delle autonomie comunali contro il potere degli Imperiali. Quegli anni erano dominati da grande violenza e quando una fazione perdeva l’altra veniva cacciata, le loro case venivano demolite e i vincitori dominavano il Comune facendo il bello e il cattivo tempo.
Fu così che nel 1258 Ezzelino da Romano, di parte ghibellina, conosciuto come uno dei più terribili e feroci tiranni, Signore della Marca Trevigiana, conquistò Brescia dopo aver ottenuto Trento, Verona e Padova. Il suo sogno era di conquistare il Veneto e la Lombardia per riunirle sotto l’ala dell’Imperatore Federico II.
Con lui si ripeté la spirale di violenza: fece distruggere le case dei guelfi, mozzare le loro torri e la città visse per un anno nel terrore. Tale divenne l’odio nei suoi confronti che un piccolo gruppo di bresciani organizzò una congiura. Tra questi c’era anche Ottaino Traina, abilissimo nell’imitare il canto del gallo. Travestitosi da giullare, riuscì ad entrare nella casa di Ezzelino e quando pensò fosse il momento giusto lanciò il verso del gallo per fare entrare i congiurati. La congiura fallì e tutti furono catturati e Ottaino, insieme ai compagni, fu legato ad una pietra e condannato a morire di fame dando il nome al masso che era a poche miglia da Brescia**.
Mi chiedo dunque se il nome, che ci viene tramandato dai secoli, non possa ispirarsi a quel triste episodio, quasi a riconfermare l’ingenuità di chi pensava di riuscire a fermare il tiranno utilizzando il canto del gallo.
Per finire con Ezzelino da Romano, personaggio assai complesso, dopo essere stato scomunicato dal Papa e una crociata fu indetta contro di lui, fu ferito in battaglia e fatto prigioniero nel Castello di Soncino. Si dice che non volle farsi curare, rifiutando il cibo ed infine morendo lì nel 1259 dove fu sepolto.
La storia ne riporta una descrizione truce, fu visto come l’Anticristo e fu sicuramente un uomo assai feroce. Nello stesso tempo venne certamente anche screditato in tutti i modi dalla parte guelfa che gli addossò anche atti mai compiuti e usò la violenza nello stesso modo. Suo fratello infatti fu torturato ed ucciso dopo aver visto trucidare sotto i suoi occhi i suoi cinque figli per estirpare il proseguimento della famiglia.
Ritornando al simbolo del gallo è interessante ricordare che, nell’iconografia cristiana, veniva posto sui campanili per annunciare la luce e la preghiera del mattino scacciando i demoni notturni. Simbolicamente rappresenta Cristo che porta l’alba del nuovo giorno della fede. A tal proposito vi segnalo un manufatto raro e prezioso esposto nel Museo di Santa Giulia a Brescia detto il gallo segnavento del vescovo Ramperto(820?). Si tratta di un gallo dorato, che un tempo era posto come segnavento sul campanile del monastero di San Faustino Maggiore di Brescia. Il gallo aveva la funzione di indicare il vento, ma in realtà simboleggia la vigile costanza dei monaci benedettini nella preghiera.
Forse in questo momento della nostra storia così doloroso avremmo tutti bisogno di un segnavento, per ricordarci che dopo il buio torna sempre la luce.
*Vocabolario del dialetto di Toscolano-Maderno di Antonio Foglio – Asar-Ateneo di Salò 2011
** Brescia nella storia e nell’arte – Livia Vannini – Editrice Vannini 1999