Nel cuore del Parco dell'Alto Garda
Una strada sinuosa penetra la valle fino a giungere alla Valvestino, costeggiando la diga di Ponte Cola, costruita negli anni ’60, che ha definitivamente cambiato la fisionomia del paesaggio. L’acqua ha sommerso le poche cascine e le storie delle persone che vi abitavano. Ricordo bene la testimonianza della Pasqualina, una signora che, con la sua famiglia, era stata costretta ad abbandonare la sua casa e con essa i ricordi di gioventù che la legavano a quel luogo assai amato. Unica testimonianza della vita che un tempo vi era trascorsa è lo scheletro scoperchiato del casello della guardia di finanza italiana che si vede dal secondo ponte, quando il livello delle acque è basso.
Siamo nel cuore del Parco dell’Alto Garda e proprio a questa altezza correva il vecchio confine tra Italia e Austria-Ungheria, ricordato da un’iscrizione in marmo bianco. Rimasta per lunghi anni una terra extradoganale, dove non si pagava dazio, conserva ancora il suo fascino circondata da una natura potente e selvaggia.
I sette borghi di Valvestino
Oggi è una calda giornata di fine autunno e i colori si stanno adeguando al momento. L’acqua è verde cupo, talvolta diventa smeraldo quando il sole la illumina e allora brilla e riflette tutta la ricchezza della vegetazione. Dopo aver superato Molino di Bollone mi fermo al mulino ad acqua, da pochi anni trasformato in museo e finalmente considerato come un patrimonio della vita agricola di questa comunità, dove i montanari venivano a fare macinare i raccolti.
Sono sette i borghi che formano il Comune di Valvestino, terra di leggende e misteri, ricoperta di boschi, ricca di cavi, antri e grotte, mulattiere e ruscelli. Avvolta in un mondo ricco di magia che si è tramandato nei secoli.
Turano
Parcheggio a Turano, sede di Municipio e uno dei primi borghi che si incontra. Secondo la leggenda, le sette frazioni sono il risultato di una lite familiare tra sette fratelli, che decisero di andare a vivere ciascuno per conto proprio senza potersi vedere. Infatti i paesi sono invisibili tra loro, con l’unica eccezione di Moerna, che domina dall’alto.
Scocca il mezzogiorno dal campanile della chiesa di Turano, posta su di un’altura e con vista sulla valle e l’intero agglomerato. Piccolo, ben tenuto, sotto i volti la legna accatastata è più una raccolta d’arte moderna che una semplice legnaia. È il profumo di legna bruciata la prima nota olfattiva che mi colpisce, che è anche profumo di casa, sinonimo di calore e accoglienza.
Persone
A piedi inizio la risalita lungo il ruscello Personcino e cammino su un tappeto di muschi e licheni. Come tante vene della terra si diramano le radici degli alberi e mi accompagna il gorgoglio dell’acqua.
Risalgo il sentiero fino a Persone, incrociando un vecchio mulino abbandonato e più avanti un lungo antro cavernoso, uno dei famosi cüel, termine dialettale per indicare una grotta. Un tempo erano usati come ripari dai contadini, ma anche come basi per briganti e banditi. È buia, dall’esterno si sente solo il gocciolio dell’acqua, mi affascina, ma nello stesso tempo emana un’eco di mistero inquietante e non mi stupisce il nome che nel passato l’avessero chiamata: cüel del diaol(ora trasformato nel più soft orco). Dalla morfologia di questa terra leggende e miti si fondono e nascono nomi legati al mondo pagano e cristiano.
Magnifici esemplari di faggi accompagnano il mio cammino e, man mano si procede, alti abeti formano un fitto bosco. In poco tempo raggiungo il borgo di Persone che è proceduto dalle fontane e da una santella. Poche case si affacciano su strette stradine, con fienili e volti fino arrivare alla piazzetta, centro di vita e dell’unica osteria del paese oggi aperta.
Armo
Armo lo raggiungo in auto dopo qualche chilometro di tornanti dall’incrocio con Turano. Mi colpisce il nome della piazza: si chiama Obbedisco e le poche vie sono Via Roma e via Trento. Episodio di storia che si è tenuto non molto lontano, esattamente a Bezzecca, che ha cambiato il corso di vita di intere generazioni. Di sicuro tutti si ricordano della risposta del laconico telegramma che Garibaldi spedì nel 1866 al Maresciallo Lamarmora che gli intimava di fermare l’avanzata verso Trento durante la terza guerra d’Indipendenza con i mitici volontari dei Cacciatori delle Alpi. Mi stupisce come questo nome non sia stato mai cambiato come invece è successo in città e paesi, che anche nella toponomastica hanno inseguito il corso degli eventi e dei nuovi conquistatori.
Conoscendo la storia della valle dell’ultimo secolo non c’è da stupirsi di quanto sia stato importante il percorso della storia che ha lambito queste terre, che per secoli hanno oscillato tra l’appartenenza all’Impero Austro Ungarico e all’Italia. Una valle in cui si è sempre parlato italiano nonostante quando nel 1860 poterono scegliere preferirono rimanere sotto l’Austria. Tra l’altro è anche interessante sapere che la maggior parte della foresta che vediamo oggi è il frutto di una piantumazione voluta dall’Impero agli inizi del ‘900 per un uso commerciale.
La prima guerra mondiale
Allo scoppio della prima guerra mondiale ancora ne erano parte. Per questo tanti uomini furono chiamati alla leva nel 1914 e mandati a combattere in terre lontane, principalmente in Galizia e poi dimenticati, molti morti in una guerra che fu una carneficina, il cui sacrificio non fu riconosciuto da nessun fronte. A proposito della Galizia, il noto scrittore triestino, Rumiz, ne parla nel libro Come cavalli che dormono in piedisquarciando il velo di una realtà a lungo occultata e celata. Per questo mi sono stupita quando ho realizzato che tutto questo è accaduto non lontano da me, poco conosciuto e sbandierato, che i poveri Cristi che riuscirono a ritornare dovevano aver vissuto un inferno.
Quando le sorti nel 1915 cambiarono e l’Italia diventò nemica dell’Impero, la Valvestino fu invasa dagli italiani, che si stupirono di trovare una popolazione che parlava la loro stessa lingua, dove i paesi erano abitato solo da donne, bambini e pochi sacerdoti. Solo recentemente la storiografia ha cominciato ad occuparsene ridando voce e volti agli uomini che furono costretti a battersi in una guerra che non li riguardava, raccogliendo cartoline, fotografia e lettere. Ogni paese ne conserva memoria nel proprio monumento ai Caduti di tutte le guerre, che riporta un bilancio pesante per una comunità così ristretta : Ai valorosi caduti della guerra 1914-18 Turano riconoscente, recita una di queste lapidi.
I sentieri
Ora in questi borghi risuonano pochi passi soprattutto in questo periodo autunnali. Sono quelli di qualche camminatore che viene a scoprire i sentieri che creano un geroglifico sulle mappe. Ce ne sono tanti e per tutti i gusti. Ci portano alla scoperta di un mondo che non c’è più, ma che è importante ricordare e onorare. Come questo sentiero di Armo che porta in direzione Messane, dove ci sono ancora dei pini la cui corteccia era intagliata a spina di pesce per poterne raccogliere la resina, usata per manutenere le imbarcazioni ancora al tempo della Repubblica Veneta. Le possibilità sentieristiche sono veramente molteplici. Tra l’altro è in corso un lavoro di tracciamento e di ri-segnalazione dei sentieri ad opera del Cai affinché con rispetto si possa partire passo dopo passo alla loro scoperta.
Bibliografia
Leggende e grotte della Valvestino di Ezio Bottazzi – Grafo 1982
Miti e leggende di Magasa e della Valle di Vestino di Vito Zeni Biblioteca Comunale di Valvestino – Magasa e Fondazione Civiltà Bresciana
La prima guerra mondiale (1914-1918) in Valle di Vestino di Domenico Fava 2015